Carlo Alberto dalla Chiesa (Saluzzo, 27 settembre 1920 – Palermo, 3 settembre 1982) è stato un generale e prefetto italiano. Figlio di un generale dei Carabinieri, laureato in giurisprudenza e successivamente anche in scienze politiche, entrò nell'Arma durante la seconda guerra mondiale e partecipò alla Resistenza.
Dopo la guerra combatté il banditismo prima in Campania e quindi in Sicilia; dopo vari periodi a Firenze, Como, Roma e Milano, tra il 1966 e il 1973 fu nuovamente in Sicilia dove, con il grado di colonnello, comandante della Legione Carabinieri di Palermo, indagò su Cosa Nostra. Divenuto generale di brigata a Torino dal 1973 al 1977, fu protagonista della lotta contro le Brigate Rosse; fu lui a fondare il Nucleo Speciale Antiterrorismo, "il nucleo speciale di polizia giudiziaria",[6] attivo tra il 1974 e il 1976. Promosso generale di divisione, fu nominato nel 1978 Coordinatore delle Forze di Polizia e degli Agenti Informativi per la lotta contro il terrorismo, con poteri speciali. Dal 1979 al 1981 comandò la Divisione Pastrengo a Milano; tra il 1981 e il 1982 fu vicecomandante generale dell'Arma.
Nel 1982 il governo lo nominò prefetto di Palermo con l'intento di ottenere contro Cosa nostra gli stessi brillanti risultati ottenuti nella lotta al terrorismo. Fu ucciso a Palermo pochi mesi dopo il suo insediamento in un attentato mafioso dove perirono anche la moglie e l'agente di scorta Domenico Russo
Biografia
L'impegno in guerra e nella Resistenza
Figlio di Romano dalla Chiesa, generale di divisione dei carabinieri, entrò nel 1941 nell'Esercito dapprima frequentando la Scuola allievi ufficiali di complemento di Spoleto, in seguito prestò servizio in fanteria come sottotenente nel 120º reggimento brigata Emilia, partecipando per 10 mesi alla guerra in Montenegro, per la quale ricevette due croci di guerra al valore.[8] Nel 1942 transitò nell'Arma dei Carabinieri (dove già prestava servizio il fratello Romolo) laureandosi in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Bari, città in cui il padre Romano era comandante della locale Legione dell'Arma.
Come primo incarico venne mandato a comandare la Tenenza dei Carabinieri Reali di San Benedetto del Tronto, dove rimase fino al giorno della proclamazione dell'armistizio. Passò poi nel comando provinciale di Ascoli Piceno; un giorno venne affrontato da un partigiano comunista. I partigiani della zona sospettavano che lui fosse responsabile del blocco dei rifornimenti di armi che gli alleati di tanto in tanto riuscivano a spedire via mare. Alla domanda "Lei con chi sta, tenente, con l'Italia o la Germania?", dalla Chiesa rispose offrendo la sua collaborazione, che, per un certo periodo, dette i suoi frutti. Poi, a causa del suo rifiuto di collaborare nella caccia ai partigiani, venne inserito nella lista nera dei nazisti, ma riuscì a fuggire prima che le SS potessero catturarlo.
Datosi alla macchia insieme con altri patrioti, entrò quindi nella Resistenza, operando in clandestinità nelle Marche, unendosi alla "Brigata Patrioti Piceni" di stanza in Colle San Marco, località di montagna, ove organizzò gruppi per fronteggiare i tedeschi. In seguito, divenne uno dei responsabili delle trasmissioni radio clandestine di informazioni per gli americani, nascosto in un'abitazione privata presso la città di Martinsicuro, in Abruzzo. Nel dicembre del 1943 passò le linee nemiche con le truppe alleate, ritrovandosi in una zona d'Italia già liberata. Venne poi inviato a Roma per seguire gli alleati nel loro ingresso nella capitale, dove venne incaricato di garantire la sicurezza della Presidenza del Consiglio dei ministri dell'Italia liberata.
Per la sua partecipazione alla Resistenza gli venne attribuito il Distintivo di Volontario della Guerra di Liberazione, guadagnando il passaggio in servizio permanente effettivo per merito di guerra.
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